Visita della Ca' Granda

La fondazione
veduta ca' granda

La promessa formulata sin dal 1451 da Francesco Sforza (1401-1466) ai milanesi di fondare «un grande e solenne ospedale» si tradusse nel decreto datato 1° aprile 1456. L’esperienza di governo della Communitas Ambrosiana (1447-1450) aveva suggellato la fine del governo e della dinastia dei Visconti e quando Francesco Sforza, nel 1450, entrò trionfalmente a Milano trovò una città ridotta alla miseria. La popolazione milanese si era consegnata al nuovo signore con la speranza di ottenere pace, stabilità, prosperità e lo aveva esortato a dedicarsi non solo al consolidamento del proprio governo, ma anche a ripristinare l’eccellenza della vocazione assistenziale di Milano, nel solco della plurisecolare tradizione ambrosiana.

A pochi giorni dalla promulgazione del decreto, seguito dall’indispensabile placet di papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1405-1464), il duca Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, sua consorte e risoluta promotrice della politica assistenziale signorile, posero la prima pietra dell’«hospitale grando» che, accorpando l’amministrazione di ben sedici dei principali ospedali cittadini preesistenti, fu denominato «maggiore». Ben presto, l’ospedale si guadagnò l’appellativo di «Ca’ Granda de’ Milanesi», sia per la qualità dell’accoglienza riservata ai pazienti di ogni condizione sociale e provenienza (compresi forestieri e stranieri) sia per la capacità di attrarre l’opera dei volontari e le donazioni dei benefattori.

Il progetto iniziale dell’ospedale venne affidato al Filarete (Antonio Averlino, 1400-1469) che ideò una planimetria ispirata dal potente simbolo della croce. La pianta dell’edificio era organizzata in due crociere (una per gli uomini, l’altra per le donne), inscritte in un quadrato, che definivano ciascuno quattro cortili interni, a loro volta quadrati; così ripartiti, i due grandi corpi erano collegati fra loro da un cortile rettangolare con al centro una chiesa. Il progetto originale subì sostanziali modifiche dovute alla necessità di adattare le soluzioni architettoniche filaretiane ai rigori del clima lombardo e a una serie di interruzioni legate alla cronica mancanza di fondi nella realizzazione dei lavori che si sarebbero conclusi soltanto alcuni secoli più tardi.

La ricostruzione post bellica
la ca granda distrutta dai bombardamenti

Non solo fabbriche, stazioni ferroviarie, siti militari strategici: a Milano gli obiettivi dei bombardieri angloamericani, tra l’ottobre del 1942 e l’agosto del 1943, furono anche edifici religiosi, monumenti artistici, addirittura scuole e, appunto, strutture sanitarie e culturali, tra le quali l’Ospedale Maggiore, in cui maggiormente si identificava la popolazione.

Le bombe cadute tra il 13 e il 16 agosto 1943 causarono il crollo di una parte della facciata che dà su via Festa del Perdono, la distruzione del Cortile d’Onore, con la conseguente perdita dei portici, e seri danneggiamenti dei chiostri laterali. È in particolare a un grande architetto milanese che si deve il restauro di ciò che era ancora recuperabile e la reinvenzione di quanto era andato irrimediabilmente perduto, vale a dire Liliana Grassi (1923-1985), la cui opera consistette nel sapiente utilizzo di metodologie diverse a seconda delle necessità ricostruttive.

La prima fase dei lavori riguardò la risistemazione dell’ala ottocentesca, destinata alla didattica, in cui l’intervento poté essere più creativo visto che il valore artistico di quella parte del complesso era inferiore a quello del resto dell’edificio. Sfida maggiormente impegnativa fu la ricomposizione per anastilosi del Cortile d’Onore, culminata nel 1958 con l’inaugurazione della nuova sede dell’Università degli Studi.

Negli anni Sessanta iniziò poi la fase delicata del restauro dell’ala quattrocentesca e, in particolare, dei quattro chiostri. Il lavoro di recupero e di ristrutturazione, parallelo alla costruzione ex novo di alcune sezioni, poggiò su una metodologia rigorosa, basata su un’attenta analisi delle fonti documentarie e iconografiche, che ha saputo preservare l’originaria orditura della struttura. Il 31 ottobre del 1984, gli interventi diretti da Grassi culminarono nella consegna della Crociera all’Università.

Il cortile d'onore
Corte grande

La Ca’ Granda, ideata dal Filarete (Antonio Averlino, 1400-1469) in tre corpi, rimase a lungo un’opera in gran parte incompiuta: si deve attendere il Seicento prima che un generosissimo lascito desse una svolta all’impresa edificatoria. Nel 1624, alla morte di Giovanni Pietro Carcano, commerciante e banchiere, l’ospedale iniziò a beneficiare della metà dell’usufrutto del suo patrimonio, una cifra annua molto consistente che continuò a essere versata per ben sedici anni. Grazie a Carcano, celebrato “secondo fondatore” dell’Ospedale Maggiore, si rese possibile l’opera di revisione e ampliamento del complesso monumentale filaretiano.

L’intervento avviato con il lascito Carcano riguardò soprattutto il cortile centrale, o Cortile d’Onore, conosciuto anche con il nome di uno degli architetti coinvolti nella progettazione, Francesco Maria Richini (1584-1658). L’ampliamento seicentesco della fabbrica si dovette confrontare con quanto era già stato costruito nei secoli precedenti, ossia il quadrilatero sforzesco (l’ala destra) e il porticato che lo collegava con il cortile centrale, quasi concluso da Giovanni Antonio Amadeo (1447-1522) nel 1497. I lavori seicenteschi, che utilizzarono il modello filaretiano come modulo guida di tutti i quattro lati, completarono il Cortile d’Onore, iniziando dal lato dell’ingresso per proseguire con quello di fronte, dove, a partire dal 1635, si avviò la realizzazione della chiesa dell’Annunciata e poi del lato destro del porticato, che fu rinnovato, mantenendo però gli elementi decorativi preesistenti.

Le colonne del Cortile d’Onore sono in miarolo, o granito di Baveno, le basi e i capitelli in marmo bastardo, o pietra di Viggiù, mentre tutte le parti decorative sono in pietra d’Angera. I tondi con busti raffigurano personaggi biblici, apostoli, sibille, santi ed evangelisti. I due rilievi con sant’Ambrogio e san Giuseppe sono attribuiti a Giovanni Antonio Amadeo. A seguito dei bombardamenti dell’agosto 1943, che interessarono anche il Cortile d’Onore, i quattro lati furono in larga parte ricomposti con i pezzi originali.

La crociera
Crociera

I lavori della Crociera di destra, preposta come quella di sinistra alla degenza dei malati, iniziarono nel 1459 e si conclusero nel 1465, sotto la direzione del Filarete (Antonio Averlino, 1400-1469). Le fondamenta vennero costruite in pietra di sarizzo (granito), come le colonne, e destinate a locali di servizio (cantine, magazzini, botteghe).

Ogni braccio aveva un nome: il primo a essere edificato, perpendicolare al Naviglio, fu dedicato a Bianca Maria Visconti e riservato alle donne degenti. Il portale d’ingresso era decorato con una lunetta in pietra, raffigurante l’Annunciazione (1463-1465), opera di Cristoforo Luoni. I bracci della Crociera erano tutti dotati di «acquaioli» (lavandini in pietra), corredati da bacili e secchielli in metallo. Da subito provvista di fogne, la Crociera era attrezzata con gabinetti, detti «necessaria» o «destri».

Tra le priorità, il duca Francesco Sforza (1401-1466) aveva infatti segnalato la necessità di realizzare gabinetti in numero adeguato (uno ogni due letti), che il Filarete progettò serviti da acqua corrente e piovana, rispettivamente in orizzontale e in verticale, in modo da garantirne la pulizia costante.

Il riscaldamento era assicurato da tre enormi camini. Accanto a ogni letto, si trovava una finestrella in muratura con funzioni di armadietto e dotata di usciolo di legno a ribalta, che fungeva da tavolino. Nel 1472, il duca Galeazzo Maria Sforza (1444-1476) dotò i letti di materassi in piume e, un anno dopo, iniziarono le degenze. Le coperte erano in pelle e gli infermi, uno per letto, erano forniti di camiciole in lana mista, di calzature e di berrette bianche (1486).

Al momento del ricovero, i malati venivano spogliati, lavati e pettinati. I letti, riscaldati durante la stagione invernale, venivano rifatti due volte al giorno, al pari della pulizia dei pavimenti e dell’arieggiamento dei locali. Durante le estati più calde, a metà altezza dell’alto soffitto, venivano distesi teli bagnati. Già negli anni Novanta del Quattrocento, l’Ospedale Maggiore ospitava 1600 persone, tra degenti e personale. Per ottimizzare gli spazi, furono create nuove sale, soppalcando i bracci delle crociere, in uso sino al XIX secolo.

Il porticato dell'infermeria
portico-visto-da-largo-richini

Progettato a partire dal 1456 dal Filarete (Antonio Averlino, 1400-1469), che a decorazione della facciata ideò sculture in marmo, pietra e terracotta, il porticato conserva le suggestioni cromatiche originali, pur avendo subìto consistenti modifiche già in corso d’opera. All’architetto toscano può essere attribuita la parte inferiore della facciata fino alla cornice marcapiano. Nel basamento si aprivano botteghe, magazzini e cantine (caneve). Lungo il porticato erano collocati gabbiotti in legno, dove chirurghi e barbieri operavano e medicavano i malati le cui patologie non necessitavano di degenza.

Il porticato a 29 arcate in cotto a tutto sesto, che immetteva alla Crociera, fu eseguito tra il 1458 e il 1462 da maestranze lombarde. Nell’intradosso degli archi sono stati riportati in luce e restaurati lacerti di decorazioni affrescate, a rombi e a tondi. Gli archi in cotto li fornì il Filarete stesso, che produsse anche le fasce decorative ad archetti e i piccoli e grandi tondi scolpiti (1461). Un’arcata, non la centrale, fu destinata a vestibolo della porta mastra (principale) e dell’infermeria. Per accedervi, fu costruita, con scarso senso pratico, un’ampia scalinata.

A detta del Filarete, cui probabilmente si deve il tondo in altorilievo in marmo di Carrara con il ritratto del duca Francesco Sforza, nel porticato Vincenzo Foppa avrebbe affrescato la scena della posa della prima pietra, mentre l’umanista Filelfo e il cortigiano Tommaso da Rieti sarebbero gli autori degli epigrammi che decorano ancora oggi gli ingressi alla Crociera. Il piano superiore è opera del lombardo Boniforte Solari (1429 circa – 1481 circa), già ingegnere della Fabbrica del Duomo, mentre il fratello Francesco (1420 circa – 1469) fornì 18 balconi finemente decorati (1467). Nel 1597, tutto il portico in facciata venne sbarrato da cancellate in ferro, che diedero al corridoio l’attributo di “Portico delle inferriate”. Nel 1648, la scalinata centrale fu sostituita con due rampe laterali, smantellate poi completamente a fine secolo, quando l’accesso all’infermeria venne assicurato dal Cortile d’onore (1686).

Il cortile della farmacia
laboratorio farmaceutico

Progettato dal Filarete (Antonio Averlino, 1400-1469), il Cortile della farmacia fu il primo a essere costruito sotto la sua direzione tra il 1463 e il 1467, ma venne portato a compimento da Francesco Solari (1420 circa – 1469), fratello di Boniforte (1429 circa – 1481 circa), con l’ausilio degli scultori Guglielmo del Conte e Pietro Ambrogio de Munti, che fornirono colonnette e capitelli. Inizialmente il cortile era destinato a ospitare gli uffici amministrativi dell’ospedale, tra cui il Capitolo dei deputati, che ne dirigeva organizzazione e funzionamento. La prestigiosa destinazione fu probabilmente all’origine delle eleganti decorazione che un tempo ornavano i pilastri, delle quali rimangono tracce di graffiti a riquadri, riproducenti vasi con anse a forma di serpenti e uccelli posati sui bordi.

Gli uffici (del notaio, contabili e dell’archivio) furono completati con la costruzione di una sala con camino (1468), forse destinata ad aula capitolare, cui fece seguito, nel 1486, la realizzazione di un refettorio che, nel 1502, fu decorato con una mediocre riproduzione del Cenacolo vinciano. Probabilmente adiacente si trovava la dispensa del pane, all’angolo sud-ovest un pozzo, la cui vera è forse opera dello scultore Giorgio Gariboldi (1464). Nella seconda metà del Seicento gli uffici vennero trasferiti e i locali del cortile adibiti in gran parte all’uso della farmacia (laboratori, depositi, magazzini), compresa l’area verde centrale, destinata a piccolo orto botanico.

Il primo riferimento all’attività di speziale dell’Ospedale Maggiore risale al 1458, quando come magister aromatarius fu nominato Giovanni Vailati. Nel 1470 venne poi sottoscritta formale convenzione per l’apertura, sotto il Porticato dell’infermeria, di due botteghe di farmacia destinate alla preparazione e alla somministrazione di medicinali esclusivamente ai pazienti ospedalieri. Nel 1497 i lavori di rifinitura decorativa dei locali della seconda farmacia furono affidati a Stefano Cittadini.

Il cortile dei bagni
cortile dei bagni

Progettato dal Filarete (Antonio Averlino, 1400-1469), che diresse personalmente l’esecuzione dei lavori dal 1460 sino al 1465, il Cortile dei bagni fu completato da Boniforte Solari (1429 circa – 1481 circa). Inizialmente il cortile era deputato alla degenza dei nobili, ricoverati a pagamento, ed era denominato “cortiletto dei gentili uomini”; successivamente assunse il nome di “cortiletto separato delle donne”, essendo prevalentemente riservato alle partorienti (area verso la chiesa di San Nazaro), ma destinato anche ai “rognosi” (scabbiosi) e ai “deliranti” di ambo i sessi (area verso il porticato), poiché in grado di assicurare loro un certo grado di isolamento rispetto alle sovraffollate corsie della Crociera.

A inizio Seicento, questo ambiente divenne “cortile per la servitù”, adibito a infermieri e inservienti. Vi si trovavano il guardaroba (verso il porticato) e la lavanderia (verso la chiesa di San Nazaro). Un pozzo di superficie insisteva nell’angolo nord-est, mentre al centro, a partire dal XVIII secolo, fu eretto il complesso dei bagni, con vasche separate per uomini e donne, cui, a partire dal 1802, si affiancò l’utilizzo di semicupi (corte vasche per un’immersione parziale), destinati all’idroterapia e collocati nelle infermerie.

Il cortile della ghiacciaia
Cortile ghiacciaia

Opera di maestranze lombarde, la realizzazione del Cortile della ghiacciaia riprese il progetto del Filarete e venne avviata nel 1486, quando il Capitolo ospedaliero dispose l’acquisto delle pietre e del materiale necessario alla sua edificazione e a quella del cortile adiacente, detto successivamente “della legnaia”. In origine, al centro del cortile, si trovava il cimitero, eretto nel 1473 dal capomastro Ambrogio da Rosate alle spalle della prima cappella. L’altare era infatti inizialmente collocato all’incrocio dei bracci della Crociera affinché fosse visibile a tutti i ricoverati, che potevano così assistere alle funzioni liturgiche, come nella tradizione degli antichi ospedali dell’Ordine gerosolimitano (odierno Ordine di Malta). Successivamente, la cappella e il camposanto vennero spostati e nel cortile trovò spazio la spezieria (farmacia), poi sostituita dalla dispensa.

La ghiacciaia, che occupava la parte centrale del cortile, è menzionata per la prima volta nel novembre del 1638 con il nome di «cella nivaria». Il serbatoio era riempito nei mesi invernali con neve che, debitamente pressata e bagnata, veniva fatta ghiacciare per consentire sia la conservazione degli alimenti deperibili, sia forse l’utilizzo del ghiaccio a fini terapeutici (traumi, febbri, infiammazioni, gotta ecc.). L’esterno della vasca era percorso da un corridoio semicircolare che fungeva da dispensa, oltre che da un’intercapedine muraria di isolamento.

Alla gestione della ghiacciaia provvedeva un addetto stipendiato dall’ente ospedaliero. Un pozzo di superficie, a uso dell’antica spezieria e opera di Boniforte Solari (1429 circa – 1481 circa), fu posto nell’angolo sud-ovest (1472). Forse affacciavano sul cortile l’antica lavanderia (1499), servita da una conduttura d’acqua autonoma, e, lungo il versante sul Naviglio, un mulino, costruito tra il 1519 e il 1523, del quale si ritrovarono le pietre per la macina del grano durante l’impegnativa campagna di restauro postbellica. Il Cortile della ghiacciaia fu infatti il più colpito dai bombardamenti del 1943 e la sua ricostruzione fu completata nel 1962.

Il cortile della legnaia
cortile della legnaia

Come il gemello (detto “della ghiacciaia”), il Cortile della legnaia è opera di maestranze lombarde che si ispirarono al progetto del Filarete, e lo realizzarono a partire dal 1486. Anticamente era denominato “cortile delle donne”, in quanto riservato alle degenti, e poi, nel Settecento, “cortile della nizuola”, forse in ragione della presenza di una pianta di nocciolo (in milanese nisciœula). In seguito e sino a tempi recenti, questo spazio prese il nome dalle cucine, situate lungo il lato orientale. Soltanto a partire dalla seconda metà del XVIII secolo si hanno riferimenti a una legnaia, che si trovava entro il perimetro del cortile, mantenutasi peraltro fino al 1943. In precedenza, il deposito della legna era infatti nel cortile maggiore, alle spalle della chiesetta e dell’annesso sepolcreto.

Gli scavi archeologici, condotti nel 1995 dall’Università degli Studi di Milano, hanno portato alla luce grandi quantità di ossa e di corna animali, forse prodotti dalla beccheria (macelleria) interna all’ospedale e costruita nel 1494, o, più semplicemente, scarti delle cucine o dell’annessa dispensa. Probabilmente sorgevano adiacenti una panetteria (panateram pristini), realizzata nel 1478, un pollaio e un porcile, testimoniati sin dal 1499, e una stalla per i bovini da macello, risalente al 1500. La pratica di macellare il bestiame all’interno del nosocomio è attestata infatti a partire da quella data.

All’interno della struttura ottagonale centrale si trovava un pozzo, di 2 metri di diametro; non è certo se si trattasse di un pozzo di superficie, per attingervi l’acqua, o sotterraneo, per il deflusso delle acque di scarico. Un pozzo di superficie, a uso delle cucine, era peraltro già presente nell’angolo nord-ovest, con vera eseguita da Guglielmo del Conte nel 1482.

Il sepolcreto
Sepolcreto

Il servizio mortuario nell’Ospedale Maggiore fu autorizzato sin dalla bolla di fondazione (1456) di papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1405-1464) e praticato entro il suo stesso recinto, già a partire dai primi anni di operatività effettiva dell’ospedale (1473). L’area destinata a Sepolcreto assunse dimensioni sempre più estese, sia perché di norma i morti negli ospedali non erano ammessi nei cimiteri delle chiese parrocchiali cittadine, sia perché quelli del nosocomio tumulati entro il recinto ospedaliero godevano di indulgenza.

Il 7 maggio 1473, il Capitolo della Ca’ Granda deliberò di far erigere un piccolo muro in prossimità della cappella dell’Annunciata (1473-1587), in origine posta sul versante nord-ovest dell’attuale Cortile d’Onore, per delimitare uno spazio destinato alla sepoltura dei degenti poveri deceduti in ospedale. Le ossa venivano poi depositate nel primitivo Sepolcreto, probabilmente sottostante alla cappella stessa.

Nel corso del Cinquecento, crescendo il numero degli infermi e di conseguenza quello dei defunti, l’area prativa all’interno del recinto ospedaliero fu adibita per una parte a foppone (fossa, in dialetto milanese) dove inumare i cadaveri. Il foppone veniva periodicamente svuotato e le ossa deposte nei sepolcreti dell’ospedale medesimo, detti brugna. Nel Seicento un nuovo Sepolcreto, noto in seguito con il nome di Brugna vecchia, venne costruito al di sotto della cripta della chiesa. Altre camere sepolcrali, la Brugna nuova, si realizzarono lungo il lato del Naviglio (ora via Francesco Sforza) e rimasero in uso sino a fine Seicento, come testimonierebbero le analisi al C14 condotte su alcuni campioni.

Fu soltanto a partire dall’ultimo decennio del XVII secolo, infatti, che si diede avvio alla costruzione di un cimitero fuori dalle mura cittadine. Detto “Nuovi sepolcri”, e ora noto come Rotonda della Besana, il sepolcreto fu posto in funzione nel luglio 1697: la Brugna vecchia, tuttavia, non venne mai completamente svuotata.

Il cortile della balie
Cortile delle balie

Grazie al cospicuo lascito Carcano, a fine Seicento furono avviati i lavori di realizzazione della nuova crociera di sinistra, conclusi tra Sette e Ottocento in ragione di una seconda ingente donazione (2.265.000 lire) disposta dal notaio Giuseppe Macchi nel 1797. Tre dei quattro nuovi cortili vennero realizzati in stile diverso dal modello filaretiano. Fa eccezione quello riservato al rettore della Ca’ Granda e alla sua famiglia, architettonicamente affine ai cortili quattrocenteschi, e noto come “Quarto delle balie”, perché, posto in una zona separata e protetta dell’edificio, venne riservato alle nutrici impegnate nell’allattamento degli infanti, per evitare loro di essere spiate da occhi indiscreti.

Il notevole ampliamento della struttura aveva infatti consentito all’ospedale di accogliere i bambini esposti, ai quali si provvedeva lo svezzamento e, possibilmente, la successiva adozione. La plurisecolare attenzione per l’infanzia abbandonata e il rispetto nei confronti dell’assistenza professionale che le donne potevano prestare in campo sanitario favorì nel Settecento, il “Secolo dei Lumi” per antonomasia, l’inaugurazione della Scuola di ostetricia, fondata nel 1767 da Bernardino Moscati e rivolta ai chirurghi, ma innovativamente aperta a “co-madri” e “allevatrici” (ossia, comari e levatrici) che fossero almeno diciottenni e “istrutte [istruite] nel leggere e nello scrivere”. Il riformismo illuminato austriaco, in una Milano sempre più sensibile alla scienza e alla tecnica, investì nella Ca’ Granda, intesa come “ospedale di insegnamento” e “di perfezionamento”.

A consolidare ulteriormente lo stretto legame fra l’Ospedale Maggiore e la società milanese furono poi il periodo risorgimentale e, in particolare, l’episodio delle Cinque Giornate (18-22 marzo 1848), quando medici, infermieri e personale ospedaliero, sia uomini sia donne, presero parte attiva agli avvenimenti, chi prestando soccorso ai feriti di entrambi gli schieramenti, chi imbracciando le armi e combattendo sulle barricate per l’indipendenza della Lombardia dal giogo asburgico.