Pubblicato il: 18/01/2019
Opinioni

Una ricerca pubblicata su Nature Communications e coordinata dal Flaminio Squazzoni, docente di Sociologia generale al dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Statale di Milano, ha studiato i vari processi della open peer review, dimostrando come, mentre alla pubblicazione dei rapporti di valutazione si associano solo benefici  - in termini di qualità della valutazione, imparzialità della stessa e persino potenzialità formative per i giovani scienziati - la richiesta dell’anonimato da parte dei revisori resti una garanzia alla libertà di giudizio.

La credibilità della scienza dipende indubbiamente dall’efficacia dei processi di valutazione dei lavori scientifici che sono propri delle riviste scientifiche. Le pubblicazioni determinano il prestigio accademico di cui gode uno scienziato o la credibilità di cui gode una teoria scientifica, in un contesto che si è fatto via via sempre più competitivo.

La cosiddetta “peer review” (revisione tra esperti) è una delle istituzioni chiave della comunità scientifica e condizione imprescindibile di ogni progresso scientifico: chi può decidere se una scoperta scientifica è talmente valida da poter essere resa pubblica, così da poter essere utilizzata da medici, tecnologi e decisori, se non uno scienziato esperto indipendente rispetto all’autore della scoperta?

Il modello standard della peer review è sempre stato la garanzia dell’anonimato, in modo da evitare conflitti d’interesse e altri fattori distorsivi delle opinioni degli esperti (ad esempio collusione dovuta a conoscenza pregressa tra autori e valutatori, influenza del prestigio dell’autore sull’opinione del valutatore). Tuttavia, sotto la spinta della forte competizione scientifica che caratterizza gli attuali rapporti di forza tra gruppi di ricerca in un contesto scientifico sempre più globalizzato, è maturata negli ultimi decenni una generale richiesta di maggiore trasparenza nei processi decisionali delle riviste scientifiche.

Alla maturazione di una nuova sensibilità in questo senso hanno contribuito alcuni casi di pubblicazione di risultati scientifici manipolati che non hanno risparmiato nemmeno le riviste più prestigiose (Science è tra queste) e nei quali errori di valutazione di editori e revisori hanno compromesso la credibilità delle scoperte scientifiche. In questo contesto, alcune riviste hanno iniziato a sperimentare forme di peer review aperta (open peer review): un modello che prevede la pubblicazione, insieme all’articolo, anche dei rapporti di valutazione che lo riguardano e – a volte – anche dei nomi dei revisori. Questa formula dovrebbe aumentare la trasparenza dei processi di valutazione e indurre gli scienziati a essere più corretti nel formulare le loro valutazioni. I primi test sperimentali svolti da riviste anche autorevoli, quali il British Medical Journal, avevano prodotto una certa diffidenza nei confronti di queste forme di trasparenza: rischiose per la possibilità di ritorsioni future ai revisori e incapaci di generare una maggiore qualità dei rapporti di revisione.

Flaminio Squazzoni, docente di Sociologia all'Università Statale

Flaminio Squazzoni, docente di Sociologia all'Università Statale

A una diversa conclusione è giunto, quindi, il team interdisciplinare coordinato dal professor Flaminio Squazzoni. Il gruppo ha “lavorato” su un ampio campione di scienziati che hanno svolto revisioni per cinque riviste scientifiche, passate di recente da un modello di valutazione confidenziale a un modello open peer review. Si tratta di un campione di più di 20 mila lavori scientifici su cui i ricercatori del team hanno potuto ricostruire gli effetti dell’introduzione di processi di valutazione open.

I risultati mostrano che la valutazione aperta non ha alcun effetto negativo sul lavoro e le decisioni dei valutatori. I rapporti di revisione sono in generale più costruttivi e scritti con stile più oggettivo. Sembra che soprattutto i ricercatori giovani siano maggiormente propensi ad accettare il compito di revisore, che val la pena di ricordare è volontario e non retribuito.

Lo stesso studio tuttavia ha rilevato che solo l’8.1% degli scienziati coinvolti nei processi di valutazione ha accettato di contro-firmare il proprio lavoro – una facoltà che era opzionale nel trial - e spesso solo quando la valutazione era positiva.

 “Riflettere sistematicamente su quello che accade dentro le riviste scientifiche e rendere la valutazione dei lavori scientifici più giusta e trasparente è un’istanza sociale molto forte, centrale anche nella corretta percezione della scienza da parte del pubblico – commenta il professor Squazzoni. Il nostro lavoro suggerisce una visione che realizzi un giusto equilibrio tra necessità di trasparenza nella pubblicazione dei lavori di revisione e difesa del diritto all’anonimato, percepito come tutela del diritto dei revisori alla piena libertà di giudizio”.

Il professor Flaminio Squazzoni è stato chiamato di recente al dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Statale di Milano, grazie ai fondi ministeriali dedicati ai Dipartimenti di Eccellenza per fondare un laboratorio sperimentale che sarà chiamato “BEHAVE”.

Il laboratorio studierà l'impatto delle norme e delle emozioni sociali sul comportamento umano in contesti d'interazione complessa - scenari di mercato, collaborazione scientifica, contesti organizzativi e interazioni sociali quotidiane – attraverso l'integrazione fra diversi metodi e tecniche di ricerca, tra cui l'analisi sperimentale in laboratorio, sul campo e sul web e la simulazione al computer.

Il laboratorio BEHAVE sarà inaugurato il prossimo 21 marzo, con un evento nella sede della Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali, in via Conservatorio 7.

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